Elogio della lentezza (e della pigrizia)


Luglio, col bene che ti voglio

Il centro storico di Montecoronaro (FC).
Ho sempre pensato che “Chi va piano va sano e va lontano” fosse uno dei proverbi più azzeccati di tutti i tempi. 
La lentezza mi  è sempre piaciuta, da che io mi ricordi, e immagino che il merito in parte sia anche della mia infanzia.

Mio padre amava la natura e i posti isolati e ogni estate caricava noi e nostra madre sulla 128 e ci trascinava nell’appennino tosco-romagnolo, a Montecoronaro per lo più, un paesino ai piedi del Fumaiolo. 
Delizioso, ma non esattamente quello che si dice un posto brioso. 
Eppure io lo adoravo.

La nostra casa era al limite del paese e dava sul niente. Sul vialetto davanti alla porta passavano ogni giorno le pecore, che una vecchietta magrissima tutta vestita di nero (che mi terrorizzava) conduceva al pascolo. Di notte c’erano le lucciole  e a parte la loro l’unica luce che si vedeva stando seduti sui gradini di casa era la nostra e bastava spegnerla per ritrovarsi sotto un cielo buissimo e gonfio di stelle.
Mio padre sistemava in un albero in mezzo al bosco una lampada viola che di notte attirava le falene e ogni mattina andavamo a vedere il “raccolto”. Piuttosto crudele a pensarci adesso, ma per una bambina un padre entomologo e collezionista di farfalle era motivo di grande orgoglio. In un certo senso lo è anche adesso.
Passavamo il mese di luglio a raccogliere fragole, individuare bruchi mimetizzati nelle trame delle foglie, pulire il terreno ai piedi di una quercia per cercare i porcini. La tappa fissa di ogni camminata era davanti ai fiori di sambuco bianco, perché era lì che venivano a cibarsi le egeridi. 
Tutte attività che svuotavano la mente e aguzzavano l’attenzione per il dettaglio. E che per essere fatte bene richiedevano una sola cosa: non avere fretta.


Nasciamo  veloci e moriamo lenti

La mia guida in Laos: lo sguardo attento di chi non ha fretta.
Chi ama la lentezza ha uno sguardo privilegiato sul mondo. È un dono la lentezza, e un’occasione. Chi bandisce la fretta dalle sue giornate, o quanto meno la minimizza, si ritrova in fretta più tempo tra le mani, più possibilità di capire, provare e sperimentare.
Ma la lentezza non è solo un dono, è anche una conquista, un diritto e un dovere che ci si assume, una scelta di vita con i suoi guadagni e le sue rinunce.
Si sceglie di essere lenti perché si ha la sensazione di starsi perdendo qualcosa, a forza di andare sempre di fretta.
Si sceglie di essere lenti perché rallentare il corpo fa bene alle menti frenetiche, aiuta a concentrarsi e a risparmiare energia.
E si sceglie di essere lenti semplicemente perché si è lenti. Che sembra una battuta, e forse in parte lo è.


Il viaggio lento

Nave cargo(da http://www.avventuraitalia.it/Viaggi-in-cargo.html).
Quando alla soglia dei 30 anni mi licenziai per la seconda volta, avevo in testa una parola sola: Australia. 
In tasca avevo un visto lavorativo di un anno per il paese dei miei sogni ma ancora nessun biglietto aereo. La verità è che non volevo andarci in aereo. Avevo già affrontato 4 anni prima quel viaggio estenuante e interminabile e lo ricordavo come un incubo. Fu la lettura di Australian cargo a mettermi in testa quell’idea folle.
Una nave cargo, ecco come sarei andata in Australia! 
27000 chilometri sospesi sull’acqua. Per una come me tendenzialmente acquafobica era un progetto piuttosto sorprendente, ma era scomparsa anche la minima traccia di razionalità di fronte alla prospettiva di un’esperienza unica, una di quelle tacche che formano la colonna vertebrale di una persona.
Non ricordo nemmeno perché alla fine cambiai idea, ma questo è ciò che feci e finii con un po' di rammarico come tutti più o meno finiscono: salii su un aereo e arrivai in Australia planando.

Qui e qui trovate due begli articoli che parlano di viaggio su navi cargo.


Driveabout

Paquito, il Mazda van dell'85: mezzo di trasporto e letto per 6  mesi in giro per l'Australia. 
In Australia comprai un furgone assieme a Myriam, una ragazza spagnola che avevo conosciuto in una fattoria a raccogliere l'uva. Per il corrispondente di circa 800 euro acquistammo un gioiellino rosso con tettuttuccio apribile, registrammo il cambio di proprietà ad Adelaide e da lì partimmo tagliando il deserto verso nord (ho scritto un articolo su questo). 
Di giorno nel furgone ci viaggiavamo, di notte mettevamo giù i sedili, fissavamo con lo scotch le tende ai finestrini e ci dormivamo. Ogni tanto si raccoglieva qualcuno per strada, e qualcun altro lo si lasciava andare; si cucinava e si dormiva più o meno dove capitava: nei parchi, nel deserto, in spiaggia, nei parcheggi delle città.

Per quasi nove mesi macinammo chilometri fermandoci a lavorare quando i soldi scarseggiavano e poi riprendevamo il viaggio attraverso quell’immenso continente infuocato e polveroso, fino ad arrivare a nord e poi da lì tagliare verso la costa orientale. Non è una gita domenicale, parliamo di migliaia di chilometri, eppure resta una cifra ridicola se paragonati a quelli che coprivano la maggior parte delle persone che vedevo in vacanza da quelle parti: in poco più di due settimane riuscivano a solcare l’intero continente da una punta all’altra
Mi sono sempre chiesta come dovesse essere arrivare in un posto così lontano da casa propria, ascoltare una guida, fare qualche foto e poi ripartire per la destinazione successiva. Come dovesse essere e che senso avesse, soprattutto. Pensavo che se avessi fatto come loro mi sarei sentita come a una gita scolastica a un museo: mi sarebbe mancata l’aria. 
Per come la vedevo io quello non era viaggiare, era assaggiare un po’ di qua e di là con aria annoiata senza capire nulla, gonfiandosi di aneddoti da raccontare agli amici.


E ora...? 


... ora non è cambiato poi molto. 
Anche se non ho più né lo spirito né l'età per essere una backpacker, subisco ancora molto il fascino del driveabout e quando viaggio, se posso evitare la scelta più veloce di solito lo faccio. “Perché hai del tempo da perdere” dirà qualche spiritosone. 
Probabilmente sì. Avere il tempo di perdere tempo è un privilegio per cui combattuto da sempre. 
Dio benedica il tempo libero, quello che scorre lento e pigro a leggere un libro, a camminare fino al negozietto per comprare qualcosa, a dormicchiare, a vedere un film. Sebbene debba confessare che la più alta idea di relax per me coincida tuttora con il non fare assolutamente nulla. Ma proprio nulla. 
È in quel momento che scatta la sensazione di essere una privilegiata. E tutto quello che ci si aspetta da me è che io le renda omaggio.

Per questo ora chiudo l'articolo e mi tuffo in piscina.


Qual è il vostro rapporto con la lentezza? Se avete voglia di raccontarlo, la sezione "commenti" è qui per questo!

Etichette: